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Vittorio Catani è uno scrittore unico nel panorama della fantascienza italiana. La sua scrittura, le tematiche che affronta, la vasta produzione e l’originalità delle sue storie, pubblicate nel corso di oltre quarantacinque anni di attività, sono la viva testimonianza di una carriera che non ha mai conosciuto, e non conosce, soste. Ne è un’ulteriore prova il volume L’Essenza del Futuro (Perseo Libri, il libro è acquistabile direttamente presso la casa editrice tramite il sito www.perseolibri.it/), di ben 655 pagine, che raccoglie quasi tutta la narrativa breve — racconti e romanzi — di Catani.
All’autore pugliese, e collaboratore storico di Delos, abbiamo chiesto di parlarci di questo libro e, allo stesso tempo, abbiamo compiuto un viaggio nel suo personale universo narrativo.
Anzitutto ringrazio Fantascienza.com e Delos per questa intervista. Quanto al volume L’essenza del futuro, certamente la sua presenza sulla scrivania mi rallegra come da tempo non mi capitava per un mio libro. Sarò ovvio: in L’essenza del futuro c’è moltissimo della mia vita, dagli anni ‘50 a oggi. Direi che le pagine mi rimandano a memorie di tempi che mi sembrano, a volte, appartenere a qualcun altro; davvero sono una finestra su un pozzo di ricordi molti dei quali credevo dissolti. Ma al di là di queste sensazioni personali c’è la mia profonda riconoscenza per un editore-scrittore-amico e la Perseo Libri, che sta portando avanti un programma altamente meritorio. Ma poi: è la bellezza in sé del libro che mi soddisfa profondamente, al di là dei contenuti, che al lettore potranno piacere o meno.
Vorrei precisare, visto che parliamo di quest’opera, che essa è divisa in dodici sezioni: sei racconti d’esordio; sette di fantascienza & politica (la mia Storia Futura Libertaria); otto di fantamore; quattro di fantasesso; due titoli di fantareligione; tre di fantascienza umoristica; due storie “a quattro mani” (con Eugenio Ragone); tre di fantamusica; sei riguardano ecologia & fantascienza. Segue una sezione che riprende una quindicina di microstorie da “Accadde… domani”, rubrica settimanale fantascientifica che porto avanti su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dal 1997; poi quattro brevissimi juvenilia; infine un breve estratto da un romanzo inedito che sto revisionando, Il Quinto Principio. Complessivamente 63 titoli fra racconti brevissimi, brevi, medi, lunghi. Non è finita: aprono il libro una introduzione di Ugo Malaguti e un brano di Lino Aldani (il che mi onora davvero). Il volume — rilegato, con copertina rigida e impressioni in oro, sovracoperta dove spicca un indovinato disegno di Dino Marsan, inoltre con 13 illustrazioni interne in b/n — è concluso da una mia bibliografia, stilata dall’immarcescibile Vegetti.Che si vuole di più, dalla vita…
Io sono “nato” autore di storie brevi (vari tentativi giovanili di opere lunghe sono rimaste a metà o non mi hanno soddisfatto). Insomma la mia scelta non è stata consapevole e anzi mi ha costantemente penalizzato. Tutti sappiamo da sempre che solo il romanziere “sfonda” davvero; solo lui è considerato un autentico scrittore. Anche io sono convinto che il romanzo necessiti d’un “mestiere” molto maggiore, nel senso che si deve saper dominare una struttura più ampia e complessa. Ma non si pensi che il racconto non richeda le sue precise regole, difficoltà, i suoi sottili equilibri, e non abbia un suo valore: altrimenti dovremmo gettare nel cestino Cechov, Kafka, Borges, Carver, Maupassant, Buzzati, Calvino e dozzine d’altri. E sappiamo che la stessa fantascienza è nata e si è evoluta soprattutto attraverso migliaia di storie brevi nelle quali ha dato buona parte del suo meglio; i romanzi sono venuti dopo. Il problema è, credo, puramente commerciale, non di valore artistico: assurdo dire che il racconto sia un genere “inferiore” al romanzo, come oggi ingenuamente sostengono perfino certi scrittori; esso è semplicemente un aspetto diverso della narrativa. Solo motivazioni contingenti e bizze del mercato, da qualche tempo, credono di dover relegare il racconto nella serie B della letteratura. Comunque anche io ho al mio attivo un paio di opere più lunghe: Attentato all’Utopia (ed. Libra, 1976; poi ripubblicato come I guastatori dell’Eden nel 1993 presso Liguori), nonché il romanzo vincitore del primo Premio Urania nel 1989, Gli universi di Moras (“Urania” n. 1120, febbraio 1990). Di un terzo lavoro più lungo (anzi stavolta lunghissimo, Il Quinto Principio) in revisione, ho già detto.
Premesso che a me piace “tutta” la fantascienza (sono stato allevato a suon di Isaac Asimov, Jack Williamson, Edmond Hamilton, Alfred E. van Vogt, Robert A. Heinlein e vari altri), maturai presto, specie con l’uscita della versione italiana della rivista “Galaxy” (1958) la mia preferenza per una science fiction che possedesse — oltre ai necessari requisiti d’intrattenimento — riferimenti diretti al mondo in cui viviamo. La fantascienza può manifestare una caratteristica particolare: la presuntuosa pretesa di farti domande sull’oggi per darti risposte sul domani; o per farti riflettere in modo nuovo su situazioni che si danno per scontate. Mi rendo conto che a molti (specie al lettore non di fantascienza) ciò appare un peccato d’orgoglio imperdonabile per una narrativa ritenuta tuttora di serie C; e perfino a tanti lettori di fantascienza ciò appare un voler snaturare i fini di spensierato divertimento della narrativa in questione. Personalmente credo che le due concezioni possano pacificamente convivere sugli scaffali; per quanto mi concerne però confesso che di pura avventura fine a se stessa, di thrilling, di blockbuster e così via ne ho piene le tasche da anni. Il che, sia chiaro, non significa che non si debba cercare di scrivere pagine gradevoli, e soprattutto evitare pistolotti moraleggianti, o interminabili noiose spiegazioni…
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