L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA ED IL NUOVO REATO DI CLANDESTINITA’ Mariagrazia Mazzaraco E si torna a parlare di immigrazione irregolare e del reato di clandestinità punibile penalmente. I sostenitori del diritto umanitario ravvedono nella sanzione penale l’”estrema ratio” ovvero il provvedimento ultimo da applicarsi allorquando gli altri strumenti giuridici risultino inefficaci ai fini della repressione dell’immigrazione clandestina. Quando uno straniero si trattiene o fa ingresso nel territorio italiano, anche se per breve periodo (visita, turismo, studio), non osservando la normativa in materia di permesso di soggiorno ed il Testo Unico sull’Immigrazione incorre nel reato di clandestinità: fattispecie penale punibile con un’ammenda da un minimo di €. 5.000,00 ad un massimo di €. 10.000,00. La responsabilità penale derivante è una contravvenzione e non l’arresto definibile solo davanti al giudice di pace che pronuncerà la condanna e la contestuale espulsione dal territorio dello Stato, per cui non trova applicazione per l’estinzione, l’eventuale oblazione. Nelle more dell’esecuzione della sentenza, se sopraggiungono motivi scriminanti quali la concessione del diritto d’asilo politico o il permesso di soggiorno per scopi umanitari, il giudice pronuncerà sentenza di “non luogo a procedere”; il processo penale cessa e l’espulsione, quale “sentenza sostitutiva” della condanna penale da eseguirsi con immediatezza non troverà accoglimento. Apparentemente comminare una pena pecuniaria dovrebbe fungere da deterrente ma non è così: in realtà, il pericolo maggiormente avvertito dai clandestini è la condanna penale a cui fa seguito l’espulsione. Le Forze di Polizia, gli operatori umanitari insegnano che le problematiche per il rimpatrio sono notevoli: dalla mancanza dei mezzi di trasporto alle difficoltà d’identificazione, dalle lungaggini burocratiche attesa l’assenza di accordi con gli Stati di appartenenza alla salvaguardia dei legami affettivi per coloro che in Italia soggiornano già da tempo. La normativa che regolamenta il nuovo reato di clandestinità prevede il termine massimo di 6 mesi per trattenere il clandestino presso i centri d’identificazione ed espulsione al fine di dare compimento alle incombenze burocratiche. In capo a tutti coloro che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio o Pubblici Ufficiali, entrano in contatto con stranieri non regolari, incombe l’obbligo di denuncia. Sono esentati i medici e gli addetti alle strutture sanitarie per cui opera una normativa speciale che deroga a quella generale appena descritta: il diritto alla salute, costituzionalmente garantito, prevale sull’obbligo di denuncia. Le uniche obbligazioni attengono alla refertazione e quindi alla “segnalazione” all’Autorità competente nel caso di commissione di un “delitto” perseguibile d’ufficio e semprechè l’interessato non venga esposto a procedimento penale – ex. art. 331 c.p.p. L’irregolare, in quanto tale perché privo del permesso di soggiorno, non deve temere che il diritto alla salute non gli venga garantito quanto l’impossibilità di usufruire di altrettanti diritti civili (ad ex. la contrazione del matrimonio) o della possibilità di inviare denaro ai propri familiari all’estero a mezzo delle agenzie di trasferimento di denaro abilitate (money transfer) che necessitano dell’identificazione. In disaccordo gli operatori umanitari che opterebbero più che su un inasprimento della sanzione fino all’espulsione, su una regolamentazione dei flussi migratori: offrire ai migranti condizioni di esistenza dignitose, vitto, alloggio, lavoro, reprimere il “lavoro nero” con le facilitazioni alle procedure di accesso al lavoro regolare, usufruire delle risorse e della forza lavoro provenienti dai paesi sviluppati nello spirito dell’”uguaglianza, della pace e della Giustizia tra le Nazioni” come recita l’art. 11 della Costituzione.
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